Incubatori non solo per startup tecnologiche

Incubatori non solo per startup tecnologiche

Gli incubatori non sono solo per startup tecnologiche.

A Napoli, ciò che è vecchio può divenire nuovo, grazie ad un incubatore che cerca di dare evidenza anche a settori tradizionali della città. L’incubatore Centro Il Faro cerca di riconquistare anche la storia e le tradizioni della città. L’immagine iconica e vecchio stile di Napoli, può divenire parte di una strategia per rafforzare la credibilità di attività tradizionali. Forse è un po’ glamour, ma occorre ricordare la ricca storia di questa città. Pensando ad un incubatore di imprese spesso significa immaginare solo un hub per lo sviluppo di attività tecnologiche. Ma secondo la National Business Incubation Association (NBIA), solo il 37 per cento degli incubatori nordamericani si concentrano sulla tecnologia. Il resto si occupa di settori come la produzione, le arti, la moda e il cibo e aiutano a lanciare attività in tutti gli USA.

Incubatori non solo per startup tecnologiche

Incubatori non solo per startup tecnologiche

Incubatori non solo per startup tecnologiche: reinventare mestieri tradizionali

Gli incubatori di oggi – multiattività, collaborativi e basati sulla comunità – rappresentano un nuovo strumento a disposizione di imprenditori e startup. Gli incubatori multiattività con imprese provenienti anche da settori tradizionali, comprendono il 54% della di tutti gli incubatori statunitensi.
Uscire con una nuova impresa da un incubatore vincente, significa introdursi nel proprio tessuto economico offrendo servizi e contribuendo a sviluppare la comunità. L’ascesa di incubatori non-tech, in parte, sono dovuti anche all’ultima recessione dell’economia tecnologica. Quando il mercato è amdato in una congiuntura negativa, così hanno fatto molti degli incubatori legati esclusivamente al settore tecnologico.
In molti casi, gli incubatori non-tech sono cresciuti in luoghi ricchi di industrie storiche che sono andate in crisi in tempi difficili, aiutando a recuperare eredità perdute.

Un esempio negli USA può essere rappresentato dall’Incubatore di Philadelphia, da quello di Macy’s a Chigago e da altri  che si occupano di moda e design, cercando di promuovere designer che seguono programmi specifici per abbracciare la moda dal lato della produzione aziendale, workshop in previsione di tendenza, sviluppo commerciale, produzione, vendita, marketing e marchi.

Un simile trend “tradizionale” è seguito anche da diversi incubatori di Detroit che hanno adattato il loro modello alla storia e alla progettazione della città.

Incubatori non solo per startup tecnologiche: DC3

Il Centro Corridoio Creativo di Detroit (DC3), http://detroitc3.com/about-dc3/ si occupa di programmazione, accelerazione, sensibilizzazione e supporto all’economia creativa locale. La loro missione collettiva: recuperare la posizione della città come centro globale per il design. Strutture in cui anche l’artigiano che vuole produrre in massa, sia aiutato a raggiungere il mercato.

DC3 stima che il corridoio creativo di Detroit ospita 200 aziende con 4.000 dipendenti. L’organizzazione aiuta a facilitare i rapporti tra creatori, imprenditori e altri enti di sviluppo aziendale, come l’Artifact Makers Society, un collaboratore creativo virtuale per artigiani locali lanciato nel settembre 2013. Un esempio è rappresentato da un imprenditore insediato in DC3 per lanciare Canvas Watch Company. Entrò nel programma alla fase prototipale, acquisendo le risorse necessarie per una campagna di raccolta fondi, ricerca e sviluppo, branding e identificazione delle opportunità di mercato locale. E’ stato aiutato a lanciare una società che produce orologi, costruendo un marchio e raggiungendo il mercato. Gli obiettivi dell’imprenditore erano in sintonia con quelli di DC3: il riposizionamento di “Made in Detroit” per riflettere il movimento di riemersione della città.

Questo può essere un modello da seguire anche per incubatori Made in Naples.

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